PESCA IN APNEA IN FLORIDA - USA JORGE MARIO GARCIA E I RELITTI DI MIAMI
Alle 7.30 del mattino con un mio amico (che faceva da barcaiolo e pilota) uscimmo dalla Marina di Mathesson Hammock, che si trova qui a Miami. Il mare era un tavola, ad est di Key Biscayne, dove ci sono più di trenta barche affondate a diverse profondità, che vanno dai 15 ai 45 metri. Queste barriere artificiali rappresentano l’habitat ideale per pesci piccoli e grandi. Si trovano quasi tutte nella sabbia e sono abitate non solo da pesci come cernie, snappers e balestra ma anche costantemente visitate da grandi pelagici, wahoo, pesci re, tonni e da folti branchi di yellow jack. La pesca sui relitti è molto emozionante e suggestiva ma ci vuole una tecnica quasi perfetta soprattutto al momento di sparare, ci sono infatti tante lamiere e buchi dove il pesce arpionato si intanare e poi diventa complicato estrarlo. Anche i pelagici quando li spari fuori del relitto e non riesci a fulminarli subito vanno a rifugiarvisi, ma se il relitto non è profondo è poco male al contrario può risultare molto difficile e pericoloso il recupero, specie se si tratta di pesci grossi. Dal 1980 sono state volutamente affondate decine e decine d’imbarcazioni i cui relitti ora si trovano tra i 7 km e i 15km dalla costa. Un’altra cosa che crea ulteriori difficoltà (e che è quasi sempre presente) è la forte corrente. C’è il relitto della Doc de mily dove ci sono tantissimi grossi squali e pelagici che nuotano tra loro ma quando ne spari uno se non lo fulmini in un secondo gli squali lo mangiano davanti a te…é molto bello ma veramente impressionante. Ma ritorniamo a noi, puntai la prua della barca verso il relitto che avevo precedentemente cercato con il mio GPS. Avevo già preparato un “segna relitto”, in caso di acqua sporca, un pezzo di piombo con una corda sottile lunga 50 metri e una grande boa molto visibile. Quando arrivai alla meta e vidi il pesce nello schermo del mio deep finder lascia andar giu il piombo e successivamente, con tutta la mia calma, indossai l’attrezzatura. Quando mi buttai in acqua la mia barca si trovava molto vicina alla boa, indicando, quindi, che non c’era corrente, cosa abbastanza rara qui a Miami e cosa comunque molto favorevole alla pesca subacquea. L’acqua era più pulita del solito, considerando il periodo; la gigantesca imbarcazione si vedeva dall’alto, non in maniera nitidissima ma tenendo presente che il castelletto di prua si trovava a circa 30 metri di profondità e che il fondale era di 40 metri, la visibilità era più che sufficiente. Vidi un branco di grandi barracuda vicino alla prua del relitto a mezz’acqua e ne catturai uno abbastanza grande. Giunto in superficie lo eviscerai e gettai le sue interiora in acqua per attirare i pesci nella zona e soprattutto i grandi predatori. Feci due immersioni di “riscaldamento” fino a 25 metri in apnea prolungata per cercare di localizzare qualche cernia o qualche altro pesce di grandi dimensioni. Quel giorno, unica volta in tutta la mia vita, vidi una cernia Golia che mi osservava dal basso. Questi pesci giganteschi, che ne gli Stati Uniti è proibito pescare da anni, possono arrivare a pesare fino a 300 kg e sono più aggressivi degli squali, non con il pescatore ma con i pesci catturati e possono, nella loro voracità, distruggere fucili e arpioni. Tornai su e, una volta in superficie, iniziai a respirare lentamente e profondamente, sfruttando tutta la potenza dei miei polmoni per poi restare in apnea attendendo sulla superficie del relitto. Mi ventilai e lentamente cominciai a scendere, proprio in verticale, fino alla prua, dove avevo visto un folto gruppo di pesci piccoli che sono il piatto preferito dei grandi predatori. Il mio battito era lento, “il riflesso di immersione” con me funziona bene…forse sono un parente lontano di un delfino e come loro riesco ad immergermi per molto tempo!
Quando mi mancavano circa 5 metri per raggiungere il relitto, guardai verso la mia destra senza muovere la testa per evitare movimenti bruschi che avrebbero potuto spaventare un’eventuale preda, ed era lì, un cubera snapper enorme, di dimensioni decisamente al di fuori del normale, che passava quasi sotto di me nuotando maestosamente ed era, chissà, forse attratto da questo strano intruso che scendeva in verticale dalla superficie; cambiai leggermente la direzione della mia discesa non per andare direttamente verso di lei e spaventarla, bensì per fare in modo di avere il castelletto di prua tra me e lei per poi, una volta essermi fatto avvistare, stuzzicai la sua curiosità. La mia tattica funzionò, non ci vollero neanche 20 secondi di attesa accanto al fianco del telaio che la vidi venire verso di me, attratta dalla mia immobilità e dai battiti del mio cuore. Le puntai il mio fucile pneumatico da 125 centimetri alla testa e sparai. L’arpione lo colpì dietro la branchia e gli uscì dall’altro lato accanto alla bocca. Rimase immobile solo per un attimo ed io pensai di averla uccisa sul colpo ma subito dopo si mosse e andò nel relitto, io salì lentamente mantenendo tirata la sagola del fucile ed arrivai in superficie dopo una lunga ma produttiva apnea, chiesi una boa al mio amico e l’attaccai alla sagola 2 metri sotto la superficie affinché la mantenesse in trazione. Mi presi qualche minuto di pausa in cui ripresi fiato e mi rilassai e quindi diedi anche tempo alla preda di perder le forze e all’acqua nel relitto di schiarirsi. Presi un altro fucile e una torcia, respirai con calma per prepararmi ad un’eventuale lunga apnea e scesi facendomi guidare dalla sagola e guardando solo il punto in cui essa entrava nel relitto. Quando entrai nello scafo affondato, presi la torcia e quando misi a fuoco in direzione dell’arpione, era lì nel fondo della stiva della barca, di lato e a pancia in su, a dimostrazione che era morto, o quasi, gli sparai un secondo colpo preciso, diretto alla testa e non si mosse per niente. Lo estrassi dalla stiva della nave e lo lasciai disteso e moribondo sul ponte di prua, per evitare di fare sforzi inutili in risalita. Non avevo calcolato bene la sua grandezza e, man mano che lo portavo su, lo vedevo sempre più grande. Quando lo ebbi al mio fianco mi resi conto che era poco più piccolo di me ed io sono abbastanza alto. Portarlo in barca fu abbastanza faticoso per noi ma la gioia di entrambi era enorme. Poche volte c’è la possibilità non solo di catturare ma anche addirittura solo di vedere un pesce di questa taglia, non la smettevamo di guardare quel pesce! Poi ci fu il viaggio di ritorno alla marina e lì le foto e l’ammirazione dei presenti. Fu un giorno di pesca straordinario. Non potemmo pesarla ma calcolammo che fosse all’incirca di 50 kg. Nessuno dei presenti riuscì a sollevarla da terra e per fotografarla fu necessario attraccarla al tetto della marina. Un grande premio alla costanza e dedizione… JORGE MARIO GARCIA
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